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Titolo:
Sette note in nero di Lucio Fulci
Viaggio nel cinema della precognizione e del Tempo


Autore/curatore: Giovanni Modica
Casa Editrice: Morpheo edizioni
Pagine: 232
Prezzo: 15,00 euro
Lucio Fulci
Dettaglio della locandina
Una scena del film
Intervista allo scrittore Giovanni Modica

La giovane casa editrice Morpheo ha pubblicato il primo libro del giovane (è nato nel 1973) critico cinematografico Giovanni Modica, “Sette note in nero di Lucio Fulci: Viaggio nel cinema della precognizione e del tempo” (232 pp. 15 euro), ora in ristampa. Un saggio cinematografico dedicato a “uno dei film meno noti di uno dei registi più noti del cinema italiano”, un libro interessante anche per chi non avesse visto il film perché è capace di raccontare un’epoca e un autore con entusiasmo e capacità critica. Cuore del libro sono le tre interviste a protagonisti di quel film: Ernesto Gastaldi, l’autore del primo soggetto, Dardano Sacchetti, sceneggiatore del film, e Sergio Salvati, autore della fotografia. Un volume che mancava (perdoniamo un po’ di ‘rozzezza’ nell’impaginazione sia perché Morpheo è una realtà nuova sia perché è compensata da un utile compendio fotografico) di cui abbiamo voluto approfondire la genesi con lo stesso Modica.

Come hai deciso di analizzare un solo film per il libro, per esordire nel mondo della saggistica cinematografica (e come mai hai scelto ‘Sette note in nero’)?
Avevo proprio il desiderio di puntare su qualcosa di poco sfruttato, e tra queste l’opera più meritevole e significativa mi è parsa proprio Sette note in nero. Fulci è tornato ad essere un nome conosciuto, ma quasi esclusivamente per i suoi horror. Oltretutto, Sette Note in Nero gridava vendetta sotto più profili: lo scarso interesse del pubblico nel momento in cui uscì ed il successo che invece ebbero film stranieri ad esso ispirati ne facevano un caso unico. Nessuno conosceva la fonte d’ispirazione di film come Gli Occhi di Laura Mars, nemmeno all’epoca in cui questo film americano uscì. Ma questo è solo un esempio…
Da amante del giallo italiano anni ‘70 (ed in particolare di quello di Fulci) quale io sono, ho trovato naturale puntare su questo film. Il fatto di dedicargli un libro intero è dovuto al tanto materiale non ancora svelato che abbiamo trovato, e alle tante considerazioni da fare.
Oltretutto un libro monografico mi è parso come una ‘compensazione’ per l’oblio in cui quest’opera era caduta per 30 anni: Filippo Pattarini di Morpheo è stato il primo a dirsi contento del progetto, pur non trattandosi di un libro sull’horror del regista.

Parliamo delle tre interviste: le prime due, quelle a Gastaldi e Sacchetti, sono un po’ più ‘fredde’ (e anche limitate come lunghezza), quella a Salvati invece è un ‘fiume in piena’ di curiosità e di ricordi.
Le interviste a Gastaldi e a Sacchetti sono state fatte via e-mail, e questo può avere un po’ influito. Il punto è però che Sacchetti è un uomo dai concetti molto stringati, e dubito che telefonicamente sarebbe andata in modo diverso. Il lato positivo delle risposte date via e-mail è che l’intervistato può riflettere maggiormente sulle proprie risposte, aggiungere qualcosa in un secondo o in un terzo momento senza tediare di continuo l’intervistatore con gli ‘aggiornamenti’. Il lato negativo è invece il rischio di una maggiore freddezza, anche se con Dardano si tratta più di un fatto caratteriale.
Salvati, a differenza mia, è abituato a interviste torrenziali e molto dirette. È un uomo estroverso che ama parlare del suo lavoro, quindi l’intervista con lui l’abbiamo fatta al telefono (anche se poi ho avuto il piacere di conoscerlo pure di persona all’AIC di Cinecittà). È eccezionalmente disponibile, e se fosse stato per lui, quell’intervista durerebbe ancora! La mia esperienza nel campo della fotografia [Modica ha frequentato corsi specifici al DAMS e alla Cineteca di Bologna, NdI] ha contato relativamente, non avendo mai praticato la professione di Autore della Fotografia (oggi non si dice più “direttore”). L’esperienza su un set non l’ho mai avuta, e Sergio è tutt’altro che un teorico: pratica i set da 40 anni e ne conosce i minimi dettagli. C’è solo da imparare ascoltandolo.
Gastaldi è anche lui un uomo gioviale e aperto, ma non avevo possibilità di fare l’intervista in un modo diverso da quello via e-mail perché in quel periodo era -mi sembra- a Honolulu.
Con questi ultimi mantengo tuttora i rapporti.

E’ molto importante nel film l'analisi secondo la quale il futuro che la protagonista ha visto non si sarebbe realizzato senza la sua visione: non avrebbe bucato il muro, non avrebbe trovato la lettera... Questo è un aspetto chiave di tutti i film di preveggenze (o salti temporali): cosa ne pensi?
Non sono molto d’accordo che sia un aspetto presente in tutti i film che parlano di preveggenze: certo, i personaggi in queste storie si muovono in base agli indizi che hanno ricevuto in visione e cercano di intervenire nel futuro, modificandolo. Quello che fa Virginia, in realtà, è qualcosa di diverso che muoversi in base alle precognizioni: le asseconda. Mi spiego meglio: il muro era lì, lei lo aveva visto spaccato e con uno scheletro dentro in visione, ma è stata una sua scelta libera e volontaria quella di spaccarlo per vedere se era quello che credeva. Nessuno la obbligava a farlo, era troppo rischioso. È come una parabola sul libero arbitrio.
Lo stesso discorso valga per la lettera, lei in base alla visione gira il vaso e solo così trova la lettera che altrimenti non avrebbe mai trovato. Negli altri film vediamo i personaggi affannarsi per cambiare il futuro ma non lo assecondano, non vengono volontariamente incontro alla loro preveggenza: cercano anzi di contrastarla. Virginia invece lo fa, spacca quel muro pur di vedere se dentro c’è quello che temeva, gira volontariamente il vaso per trovare la lettera. Lei crea il futuro come dietro a istruzioni, consapevolmente a suo scapito. Non certo per stupidità, ma per cercare la verità.

Dici nel libro che il film fu troppo in anticipo sui gusti del pubblico: in che modo?
Alla fine dei ’70 il fantastico stava velocemente virando verso l’horror, e temi sottili come la parapsicologia non avevano ancora l’appeal che hanno oggi. Se un film era di suspense, doveva colpire allo stomaco. In questo Sette note si differenziava molto, e infatti si cambiò subito registro. Negli anni ‘90 si iniziò a capire di più questo genere, il pubblico si era stancato degli estremi e ricominciava ad apprezzare un altro tipo di suspense, e difatti Shyamalan e Nakata (che cito anche nel volume in qualità di esempi) sono emersi in quel decennio. Negli ultimissimi tempi stiamo avendo una coesistenza tra il fantathriller di questo genere e quello più strettamente gore, le mode a senso unico stanno scomparendo e credo sia un bene, al di là dei gusti. Certo è ancora lontana la vera rinascita del thriller nostrano, ma staremo a vedere…

Scegli tre titoli della filmografia di Fulci da consigliare a chi non lo conosce per nulla (a parte "Sette note in nero", ovviamente!), e spiegaci il perché.
Non ho dubbi: Non si sevizia un paperino, Una lucertola con la pelle di donna e Beatrice Cenci. Se ci fosse stata una quarta possibilità avrei scelto anche Una sull’altra, un giallo tradizionale ma costruito a meraviglia, ma me ne hai date solo 3 e allora la mia scelta è questa. I motivi: Non si sevizia un paperino è l’UNICO film che è riuscito a trattare un periodo storico dell’Italia molto particolare: la dicotomia sacro/profano e arcaico/moderno venivano riassunti in simbologie e personaggi assolutamente veritieri. Era un periodo storico in cui era facile trovare la coesistenza, a pochi metri di distanza, di un’autostrada e di un paesino pieno di superstizioni e rituali di stregoneria. Era un momento di transizione: la modernità era arrivata, ma c’erano ancora da cambiare alcune mentalità. L’idea poi di un thriller ambientato in un paesino rurale del sud fu assolutamente innovativa. Le rocce assolate si sposavano a meraviglia con l’angustia. Tutto in quella realtà è travisato e travisabile: ci sono cattolici che credono all’efficacia del voodoo e giustificano la vendetta, un prete che sceglie di dannarsi per ‘salvare’ le anime pure dei bambini, che in realtà puri non lo sono affatto se non sessualmente. Mentre Sette note in nero era un film soprattutto sull’ambiguità delle situazioni, Non si sevizia lo era sull’ambiguità delle persone, che paradossalmente scelgono di compiere il male in totale buona fede. Attualissima e senza pesanti discorsi didascalici è la scena dell’indifferenza generale dei ‘vacanzieri’ di fronte all’agonia della magiara, che non si fermano per non arrivare tardi alla loro meta turistica. Una lucertola con la pelle di donna è innovativo soprattutto stilisticamente: è un film in cui la tecnica predomina e si nota: scelte visive bizzarre, split screen, animatronics e altro generano un risultato perfetto con un tono alquanto delirante. Un giallo con elementi orrorifici che lo pongono al confine tra i due generi, molto spinto per l’epoca. Dà inoltre un affresco della swinging London fine ‘60 come solo il cinema italiano ha saputo fare, al pari di Blow-Up di Antonioni e – d’accordo, molto al di sotto di questi – Fumo di Londra di Alberto Sordi. Beatrice Cenci è semplicemente un dramma storico di Fulci che univa una minuziosa ricostruzione degna di Luigi Magni, con un realismo crudo e coinvolgente. Lo metto tra i tre perché è un discorso a se stante nella filmografia di Fulci, nonché uno dei suoi preferiti.

Sono tanti nel film i rimandi ai titoli successivi che si sono ispirati a 'Sette note in nero' (ad un certo punto usi anche il termine 'saccheggio'...): quali sono gli esempi più clamorosi e significativi in tal senso?
Il caso più clamoroso è stato senza dubbio Gli Occhi di Laura Mars con Tommy Lee Jones e Faye Dunaway. Se vi sembra eccessivo il termine saccheggio vi invito a visionare, più che il contenuto (che comunque ha delle affinità per nulla casuali), le scelte di ripresa. Ci sono inquadrature che sembrano dei veri e propri ‘calchi’. Questo fa indurre, più che a un sospetto, a una certezza: il film ha preso pesantemente da Sette note in nero.
Saccheggio si può definire anche il remake indiano di Partho Gosh, dal momento che non risulta essere a nessun effetto un rifacimento ufficiale. Nei credits di questo film non c’è nemmeno un richiamo all’opera di Fulci, eppure lo è. Ritengo però più clamoroso il caso del film USA, perché anche se non si trattava di un remake ufficiale o non, ebbe successo e nessuno si accorse di nulla, neppure in Italia. Il film indiano, se non altro, non uscì dall’India.
Molto curioso anche il dettaglio della ricostruzione ‘visiva’ fatta dal protagonista di Minority Report di Spielberg, del tutto assente nel racconto di Dick da cui è stato tratto ma presente nel film di Fulci di tanti anni prima: non un saccheggio, ma comunque una coincidenza strana, come giustamente sottolineò La Repubblica all’uscita del film.

Più volte nel libro citi il complesso rapporto di Fulci con Dario Argento: puoi raccontarci qualche aspetto particolare?
Mi pare che i due non si frequentassero. Argento navigava placido nel suo successo quando Fulci veniva considerato “quello che lo copiava”. È possibile che Fulci ne avesse invidia, ma la cosa è anche comprensibile, dato che, OGGETTIVAMENTE, non c’era disparità di valore tra i due. Il punto è che la gente restava spiazzata da andirivieni qualitativi come quelli di Fulci, che alternava Buzzanca (rispettabilissimo, per carità) a gialli e western di ben altra caratura. Argento era più lineare. Ma non fu tanto la colpa del pubblico, che tutto sommato riuscì in più occasioni ad apprezzare Fulci, quanto della critica, che non gli perdonava di avere girato i film con Franchi e Ingrassia. Certi peccati originali non si potevano scontare, secondo loro, e ne facevano cattiva pubblicità in qualsiasi occasione. Questo trattamento proseguì negli anni ’80: uscì L’Aldilà e dissero che l’aveva copiato dal coevo Inferno di Argento; a metà decennio uscì Lo Squartatore di New York e dissero che aveva voluto fare un giallo gore sulla falsariga di Tenebre di Argento. E così via. È giustificabile che il nome del Dario nazionale gli divenne indigesto. Ma la colpa era della stampa. Fulci poi aveva un carattere che lo portava a farsi dei nemici nell’ambiente, questo si sa.

Si capisce che non ami molto David Lynch (lo definisci 'il tanto decantato'): come mai?
Lynch è in odore di santità, e può sembrare presuntuoso da parte mia criticarlo. Ma l’impressione che mi dà è quella di un abilissimo regista che ha deciso di porsi una spanna al di sopra del suo pubblico. Lo sfida con storie che vanno molto oltre la logica. Si può apprezzare, ma quando si supera il confine di cripticità che si può trovare in film come Velluto Blu, divento sospettoso… Mi piace quando un regista dice al pubblico: io vi do un’opera, voi datene una vostra lettura; ma devo vederci dietro un lavoro compiuto, magari con delle aperture al mistero, ma non un enigma a tutti gli effetti come Mulholland Drive, in cui ci può stare tutto e il contrario di tutto (nevrosi, follia, sogno, sdoppiamento o sostituzione di personalità ecc). Io preferisco un cinema in cui l’autore dia una chiusura più personale alle storie, e non solo a livello di stile. Il che è più difficile che fare gli ermetici. Altrimenti mi pare di più un esercizio narcisistico.

Come è nato il tuo rapporto con Morpheo edizioni, come ti sei avvicinato a loro (visto che è il tuo primo lavoro): che consiglio puoi dare a chi vorrebbe fare come te e ‘lanciarsi’ nel campo?
Fu semplice, in realtà. Io scrivevo recensioni per i siti studiocinema.net e centraldocinema.it, per i quali condussi anche alcune interviste ai registi Antonio Bido ed Eugenio Cappuccio. Attraverso una newsletter di centraldocinema trovai l’annuncio dell’uscita per Morpheo (di cui non conoscevo ancora l’esistenza) del libro di Gatti su Lamerica di Gianni Amelio.
Interessato da anni alla saggistica cinematografica, scrissi immediatamente all’editore mettendo come allegato quelle che ritenevo essere le più riuscite tra le mie recensioni e le interviste. Filippo mi rispose dicendosi interessato a lavorare con me e scegliemmo insieme il film di cui trattare, e sull’idea di Sette note si dichiarò subito d’accordo. Le situazioni migliori nascono sempre nel modo più semplice.
A chi vuole lanciarsi nel campo vorrei dire solo di non avere complessi o riverenze eccessive nei confronti di nessuno. Se credete di valere qualcosa o di avere delle cose da dire, oggi ci sono orecchie disposte ad ascoltare. Mi mette tristezza quando sento di persone che rinunciano al proprio sogno perché non hanno conoscenze negli ambienti o per tentennamenti continui. Filippo di Morpheo, ad esempio, è riuscito a costruire qualcosa di sempre più grande praticamente da zero.

Per il futuro di quale altro film vorresti scrivere (di Lucio Fulci e di altri registi)?
Di Fulci Non Si Sevizia un Paperino in primis, e successivamente Una lucertola con la pelle di donna. Due film eccezionalmente innovativi che meriterebbero altrettante monografie. Di altri gialli made in Italy, sceglierei Cosa Avete Fatto a Solange? di Massimo Dallamano, un’opera con un significato diverso, specchio fedele di un’epoca.
Tra i titoli più celebri, i primi di Dario Argento oppure Reazione a Catena (Ecologia del Delitto) di Mario Bava. Tra gli stranieri, Il Giardino delle Vergini Suicide di Sofia Coppola. Su questi titoli ci sarebbe molto da dire.

Tanti gli spunti di interesse nati dalla lettura del libro di Giovanni Modica, vi invitiamo a procedere su quelle pagine!
http://www.morpheoedizioni.it

Carlo Griseri e Marco Frassinelli
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