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GO GO TALES
Un film di Abel Ferrara - dur 100', USA, Italia 2007
Con Willem Dafoe, Bob Hoskins, Matthew Modine, Roy Dotrice, Riccardo Scamarcio, Burt Young, Stefania Rocca, Asia Argento, Justine Mattera.

Go Go Tales: Otto e mezzo
Per entrare nel go go dancing club di Manhattan, il Paradise, il locale di spogliarelliste al centro dell’ultimo slabbrato film di Abel Ferrara, bisogna attraversare una porta girevole. Da lì escono e entrano la città e il mondo intero, città e mondo da cui il regista vorrebbe essere escluso ma di cui non gli è consentito fare a meno, per la sua stessa sopravvivenza in quanto autore. Dunque la porta che separa la realtà dalla sua rappresentazione su un palcoscenico ai margini di essa non può essere chiusa e neppure restare spalancata: gli avventori del night entrano, guardano, ammirano, tuttavia è rigorosamente vietato toccare le ambigue e lascive ninfe go-go.

Del resto la sequenza iniziale lascia scarsi dubbi sulla natura autobiografica della pellicola e sull’interrogarsi di Abel Ferrara relativamente alla sua opera e alla capacità dell’arte in genere di interagire con la società e con l’individuo: la macchina da presa accarezza dall’alto Roy Ruby/Willem Defoe, egli appare assorto, gli occhi protetti dalla mascherina, in cerca di ispirazione e nello stesso tempo dell’idea che gli permetta di superare le urgenti difficoltà economiche per continuare a tenere in vita il Paradise. L’immagine ricompare più volte nel lungometraggio, rimarcando la solidarietà anzi la totale identificazione di Ferrara con l’estroso e tormentato padrone del night. Se vogliamo poi cercare un archetipo illustre, lo troviamo in Guido, il cineasta in crisi del capolavoro di Federico Fellini, Otto e mezzo. E davvero, se lo si legge in filigrana, Go go tales è una pagina di diario in forma di appunti non rivisti, buttata giù in fretta e con scarsi mezzi a disposizione, nella quale il regista scrive le proprie memorie, trincerandosi dietro i corpi nudi delle lap-dancer. La drammatica convivenza del sublime con il repellente, chiave di tutta la sua filmografia, emerge con netta evidenza nel fumoso teatrino del club, ove Monroe/Argento dà un disgustoso bacio al suo rottweiler, le banconote dei turisti giapponesi si infilano nell’intimo delle ragazze, gambe e braccia si attorcigliano alla sbarra torturatrice nell’esibizione triviale, eppure un’eterea creatura esegue passi di danza classica, si odono il suono del pianoforte e gli aurei monologhi di Shakespeare, la beltà muliebre ha una casta sacralità, il ghiaccio polare e il fuoco del fulmine riprodotti ricreano la purezza degli scenari naturali.

E’ un universo chiassoso, paradossale, ingabbiabile in un angolo chiuso e appartato nel bel mezzo della metropoli, in una confusa imitazione di un coro di Robert Altman. Chi entra nel paradiso si porta addosso e dentro l’inferno, un affitto da pagare, debiti, un bambino da far nascere, un marito studente da mantenere, ambizioni da realizzare, sogni di gloria e velleità, impulsi da sfogare e vizi indomabili. Il conflitto è insanabile, se non nel gioco ludico della commedia: grazie al biglietto della lotteria, il sipario non si chiude, lo spettacolo continua e dalla chiazze del celestiale fuoriesce la tragicommedia malfatta del divenire.
Augusto Leone
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