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Lunedì 21 marzo Ore 16:15 – 20:15 – 22:30
LE QUATTRO VOLTE
(Italia – Svizzera - Germania 2010) di Michelangelo Frammartino - dur. 88'
Con Giuseppe Fuda, Bruno Timpano, Nazareno Timpano

Sullo sfondo panoramico della Calabria Jonica si intrecciano quattro episodi: un vecchio pastore che vive i suoi ultimi giorni; la nascita e le prime settimane di vita di un capretto fino al primo pascolo; la vita di un abete nel corso delle stagioni; la trasformazione del vecchio abete in carbone attraverso il mestiere dei carbonai.



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Così la critica:
Lietta Tornabuoni (La Stampa):
Una visione lirica dei cicli della vita e della natura, delle tradizioni dimenticate di un luogo senza tempo. Un film senza parole, con rumori, ispirato, pare, alla scuola pitagorica secondo cui l'essere umano vive quattro vite ed ha quattro componenti (minerale lo scheletro, vegetale la linfa del sangue, animale il movimento e la coscienza del mondo esterno, razionale).

Boris Sollazzo (Liberazione):
Sarà anche difficile entrare nel film, svestirsi delle abitudini visive e narrative che abbiamo, seguire un tipo di cinema a cui lo spettatore non è abituato e che impone un livello alto di attenzione e disponibilità. Ma poi ti lascia dentro qualcosa di profondo, inspiegabile, dolce. (...) Frammartino è un ottimo regista, ma qui c'è qualcosa in più: un fascino inevitabile, racchiuso in quell'invisibile che il cineasta cerca con ostinazione.

Alberto Crespi (L'Unità):
Le quattro volte, presentato alla Quinzaine, è un poemetto visivo sulle “quattro vite” (umana, animale, vegetale, minerale) che ciascuno di noi ha dentro di sé (...). Esperienza cinematografica non facile, ma assolutamente insolita. Girato nella Calabria interna, lontanissima dal turismo e dalla ‘ndrangheta.

Mario Sesti (FilmTv):
Se Anghelopoulos o Tarkovskij avessero mai girato un remake di “Bambi”, forse sarebbe venuto così. Tutto il film è, in fondo, filosofia scritta in poesia, come quella di Parmenide che visse al confine con la Calabria. Frammartino, milanese ma calabrese d'adozione e vocazione, già autore di “Il dono”, sa parlare il cinema in una lingua inaudita e sconosciuta.
MICHELANGELO FRAMMARTINO – Milano, 1968
"Progetto installazioni interattive perché si sviluppano sotto gli occhi dello spettatore. I miei film sono un po’ la stessa cosa, la storia vera e propria la deve raccontare lo spettatore" (Frammartino). “Voglio realizzare film privi di artifici, che siano tecnici, linguistici, metaforici o drammaturgici. Non chiedo agli attori d’interpretare una parte, ma semplicemente di ripetere davanti all’obbiettivo i gesti abituali. Non sappiamo niente, o quasi, dei personaggi che prendono forma dentro di loro. La telecamera si ferma all’esteriorità. Mi sembra il modo più rispettoso di raccontare il naufragio di questo paese" (Frammartino). Nei suoi lavori Frammartino, "con forte passione, insegue il sogno di un cinema estremo, oltre il racconto in prosa" (Carabba). Studia architettura al Politecnico di Milano, dove contemporaneamente si avvicina all’audiovisivo. Nel 1992 gira il suo primo cortometraggio (“Tracce”), e nel 1995 realizza “Presenze S-Connesse”, prima di una serie di installazioni video. Il suo primo lungometraggio, “Il dono” (2003), si colloca nel difficile solco dei progetti precedenti, che rinunciano alla facilità narrativa a favore della ricerca estetica, privilegiando una collaborazione con attori non professionisti.
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