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Lunedì 5 marzo Ore 16:15 - 20:15 - 22:30
OFFSIDE
(Iran 2006) di Jafar Panahi – dur. 93’

con Sima Mobarak Shahi, Shayesteh Irani, Golnaz Farmani, Mahnaz Zabihi
Teheran. Una ragazza, goffamente travestita da maschio, tenta con ogni mezzo di entrare allo stadio per assistere alla partita di calcio Iran – Bahrain, decisiva per la qualifica alla Coppa del Mondo 2006, nonostante la legge proibisca alle donne di assistere alle partite.

Premi:
Vincitore di un Orso d’Argento (Gran Premio della Giuria) al Festival di Berlino e altri 3 premi internazionali, più 3 nomination.


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Così la critica:
Andrea Fornasiero (FilmTv):
Jafar Panahi
definisce “Offside” come una “commedia umoristica” e forse nel 2006, quando è stato realizzato, era questa la lettura più immediata. Oggi è però difficile riderne e l’ottimismo che anima il finale risulta doloroso proprio nel contrasto con la realtà. Come in “Il cerchio” sono le donne le protagoniste, arrestate per essersi introdotte allo stadio. Girato con attori non professionisti, quasi come un documentario ma con lunghi piani sequenza, “Offside” conferma il talento di un grande regista, capace di gettarci con naturalezza nel pieno dell’azione e al contempo di dirimere un intreccio di punti di vista […]. Che esca solo ora, nonostante l’Orso d’Argento a Berlino, segnala i limiti anche del nostro, di regime.

Simone Emiliani (Cineforum):
Forse era nel destino di “Offside” di essere confinato a una tragica clandestinità. Forse troppo intenso, troppo pieno di realtà e umanità insieme per poter entrare tutto lì dentro un film. Forse non ci riesce nemmeno, in quanto straborda, fa sentire anche quello che c’è nel fuoricampo. Un corpo prima inquadrato che poi sparisce e ritorna, una voce urlante e insistente della quale si vedono gli effetti su alcuni primi piani delle protagoniste. […] Quello di Panahi è un cinema al femminile. Il punto di vista è deciso, chiaramente orientato anche in “Offside”. Ci sono figure diverse, da quelle più silenziose ad altre che si fanno meno scrupoli e sfidano apertamente l’autorità maschile.

JAFAR PANAHI - Miahneh (Iran), 1960
“Io non comprendo l’accusa di oscenità diretta ai classici della storia dei film, né capisco il crimine di cui sono accusato. Se queste accuse sono vere, voi state mettendo sotto processo non solo noi ma il cinema iraniano socialmente impegnato, umanistico e artistico, un cinema che prova a stare aldilà del bene e del male, un cinema che non giudica, né si arrende al potere o ai soldi ma prova a riflettere onestamente un'immagine realistica della società”. Questo è uno stralcio del discorso di difesa processuale di Jafar Panahi, condannato a sei anni di carcere e a venti di proibizione di dirigere, scrivere e rilasciare ogni forma di intervista con i media stranieri. Panahi è uno dei più famosi registi iraniani della generazione che ha contribuito al lancio internazionale di questa cinematografia a cavallo degli anni Novanta. Dopo aver studiato al Teheran’s College of Cinema and TV, comincia la carriera realizzando vari cortometraggi e documentari, oltre diverse fiction per la televisione. È anche assistente alla regia per Kiarostami. Ottiene successo internazionale fin dal suo esordio come regista con “Il palloncino bianco” nel 1995: il film vince il prestigioso premio Camera d’Or al Festival di Cannes. Anche il successivo “Lo specchio” (1997) non passa inosservato e si aggiudica il Pardo d’Argento a Locarno: Panahi vi racconta “un’odissea nel concitato traffico di Teheran, rubando le immagini di un percorso reale che fa anche emergere riflessioni sui ruoli maschile e femminile in quella società”(Zappoli). “Il cerchio” (2000) suggella la sua carriera internazionale, ottenendo il Leone d’oro e il premio Fipresci a Venezia. Attraverso 8 personaggi femminili, il film racconta la pessima condizione di oppressione in cui vivono in Iran le donne. Se questo terzo film di Panahi “non ha forse il lirismo raffinato di Kiarostami o la tensione metaforica di Makhmalbaf, nella durezza con cui registra la coincidenza tra oppressione politica e oppressione maschile, possiede semplicità, lucidità e fluidità ammirevoli” (Morandini). Precisazione forse inutile: mai distribuito in Iran. Nel 2003 realizza “Talaye sorgh” (Sangue e oro), in cui “mette a confronto la Teheran dei sottoproletari con quella dei quartieri alti e illumina le radici sociali di tante tragedie umane” (Porro).
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