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Lunedì 23 marzo Ore 16:15 - 20:15 - 22:30
FATHER AND SON
(Giappone, 2013) di Hirokazu Kore-eda – dur. 121’
Con Masaharu Fukuyama, Machiko Ono, Yoko Maki, Lily Franky, Shogen Hwang, Keita Ninomiya
Keita è un bimbo di sei anni, figlio unico di un uomo in carriera e della sua sposa soave. I genitori ricevono un giorno una telefonata: Keita non è il loro figlio biologico. È stato scambiato nella culla. Il loro vero erede è stato cresciuto in periferia, da una famiglia di ceto decisamente inferiore, nel disordine felice di fratelli e sorelle. Ora per le coppie si apre il dilemma: continuare a crescere il figlio sociale o richiedere uno scambio nel nome del sangue?

Premi:
Vincitore di 18 premi internazionali (più 39 nomination) tra cui Premio della Giuria e Menzione Speciale al Premio della Giuria Ecumenica al Festival di Cannes, Miglior Regia e Miglior Film all'Asia-Pacific Film Festival, Miglior Attore non protagonista e Miglior Attrice non protagonista agli Awards of the Japanese Academy.

Così la critica:
Giulio Sangiorgio (Film TV)
Koreeda, con lo sguardo cortese del cinema degli Ozu e degli Yamada, affronta un topos della commedia degli equivoci, introduce stereotipi e schematismi (le famiglie sono opposte, caratteristica per caratteristica), ma lo sviluppo non cerca lo spettacolo: scioglie il melodramma e la commedia nel mare del vero: perché se si piange, se si ride, lo si fa frequentando i personaggi, guardandoli con comprensione. La lenta comprensione degli errori, dei sacrifici, delle impotenze. E dei loro contrari. Quello di Koreeda è un cinema di realismo limpido, profondamente umanista. Alla superficie placida delle sue inquadrature non interessano gli eventi notevoli, ma le increspature della realtà, le piccole onde che trasportano i tumulti interiori.

Adriano De Grandis (Segno Cinema)
Curiosamente il film ricalca la vicenda narrata da “Il figlio dell’altra” di Lorraine Levy: quattro genitori scoprono, anni dopo il parto, lo scambio, in culla, di due loro figli. Un problema incrociato non indifferente, un problema morale atroce, una scelta di vita traumatica. Se nel film di Levy la differenza era etnica (le famiglie erano israeliana e palestinese) qui il conflitto si accende per lo più sulla condizione sociale assai differente: la famiglia benestante e quella più modesta. Koreeda non sposa una conflittualità accesa, ma si interroga sulle conseguenze psicologiche di un evento simile. Così il film si trasforma in una specie d’indagine socio-politica, tra immagini eleganti e quesiti tormentati, sui rapporti padre-figli e sul concetto di famiglia.

HIROZAKU KORE-EDA - Tokyo (Giappone), 1962
I temi ricorrenti del cinema di Kore-eda sono la memoria, la perdita e la morte. Con al centro la natura, intesa come scenario grandioso nel quale si conclama e si dispiega la debolezza degli uomini. Questo aspetto si manifesta subito nel suo film di debutto “Maborosi” (1995, premiato a Venezia, Vancouver e Chicago), dove la perdita degli affetti della protagonista è scandita attraverso il respiro della natura. La notorietà internazionale arriva con “After Life” (1998), favola metafisica sul passaggio dalla vita alla morte durante il quale i protagonisti possono portare un solo ricordo. Dopo “Distance” (2001, il dolore e la vergogna di una famiglia di un bioterrorista morto in un'azione suicida) e “Nobody Knows” (2004, la storia vera di quattro fratellini abbandonati dalla madre) Kore-eda si avvicina a una produzione più commerciale: “Hana” (2006) è la simpatica vicenda di un samurai che apprezza la vita tranquilla; “Still Walking” (2008) «mette in scena la quotidianità della vita, con le piccole azioni, gli eventi dolci e amari che costituiscono l’essenza dell’esistenza» (Raganelli); in “Air Doll” (2009, tratto da un celebre manga) una bambola gonfiabile prende vita e si innamora del suo proprietario; in “The Days After” (2011) una giovane coppia che ha perso il figlio trova un bambino da crescere.
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