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Lunedì 20 aprile Ore 16:15 - 20:15 - 22:30
IDA
(Polonia/Danimarca, 2013) di Pawel Pawlikowski – dur. 80'
Con Agata Kulesza, Agata Trzebuchowska, Dawid Ogrodnik, Joanna Kulig
Polonia 1962. Prossima a prendere i voti, Anna, bella diciottenne cresciuta in convento, scopre di avere una zia. L’incontro tra le due donne segna l’inizio di un viaggio alla scoperta l’una dell’altra, ma anche dei segreti del loro passato.

Premi:
Vincitore di 68 premi internazionali (più 56 nomination) tra cui Premio Oscar al Miglior film straniero e Miglior Film, Migliore Attrice, Migliore Scenegrafia e Migliore Fotografia al Polish Film Festival.

Così la critica:
Paolo D'Agostini (La Repubblica)
Sarebbe bello che questo film, “Ida”, riuscisse a valicare i limiti di un pubblico ristrettissimo da festival (ha partecipato all'ultima edizione di quello torinese). Emana un profumo molto vintage da "nuovo cinema" dell'est europeo a cavallo tra anni ‘50 e ‘60 (i primi Polanski e Skolimowski, o un possibile sviluppo del meraviglioso “Cenere e diamanti” di Wajda), ma senza fare del proprio look un feticcio. (...) Teso, potente, intenso.

Alessandra Levantesi Kezich (La Stampa)
La fotografia è giocata sul magnifico bianco e nero dei primi lavori di Polanski, e del resto siamo nel 1962, anno di uscita di “Il coltello nell'acqua”. Eppure questo è un film che nessuno nella Polonia di allora avrebbe potuto girare (…). Insieme, zia e nipote intraprendono un viaggio in un traumatico passato che è al contempo un viaggio nel grigio presente di una società sovietizzata e infiltrata di perduranti pregiudizi religiosi, dove solo le note di Mozart o di un sassofono jazz riescono a far risuonare un palpito di vita. Di impeccabile bellezza formale, forte nei temi e vibrante (eccellenti le interpreti) nel doppio ritratto femminile, Ida conferma il sicuro talento di Pawel Pawlikowski, cineasta segnalatosi nel 2004 con “My Summer of Love”, di cui siamo certi torneremo a parlare.

PAWEL PAWLIKOWSKI - Varsavia (Polonia), 1957
«La fiducia nelle immagini sembra il marchio di fabbrica di Pawlikowski, unito al tentativo continuo di rielaborarle facendole scontrare tra loro, oppure proponendo punti di vista inaspettati o creando continuità a partire non dal significato principale ma da altri elementi apparentemente secondari: un colore, un oggetto, una forma. (…) Pawlikowski fa un cinema che vive soprattutto nella ricerca di una narrazione audiovisiva in cui spesso gli elementi a margine contano più di quelli centrali, in cui le disgressioni sono funzionali ad un'economia di racconto che affronta sì un tema forte - l'immigrazione, la crescita adolescenziale - ma non rinuncia ad inserire ulteriori tracce di sviluppo, che talvolta possono apparire dispersive, ma alla resa dei conti sostanziano ulteriormente un preciso sguardo sul mondo e sulle sue contraddizioni» (Marangi, Cineforum). Nato in Polonia ma inglese di adozione, nel 2001 fa l'esordio registico con “Last Resort”, ambientato in un luogo indefinito della costa inglese, in cui i disperati stranieri attendono lo status di rifugiati. “My Summer of Love” (2005, sua seconda regia e premio BAFTA per il miglior film inglese dell'anno) è una scorribanda emotiva in una provincia inglese assolata e opprimente, che rivela «una notevole sensibilità compositiva e psicologica» (Gentili, Nocturno). La vicenda del successivo “La femme du cinquiéme” (2011, «Un'esperienza ardua e insolita ma stimolante» secondo Mereghetti) gioca con la credulità dello spettatore: tutto è raccontato con apparente realismo ma scena dopo scena ci si accorge che quello che si vede potrebbe essere frutto delle fantasie del protagonista.
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