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Lunedì 07 Febbraio Ore 16:15 - 21:00
IL BUCO

(Italia, Francia, Germania, 2021) di Michelangelo Frammartino – dur. 93'
Con Paolo Cossi, Jacopo Elia, Denise Trombin, Nicola Lanza, Antonio Lanza
Durante il boom economico degli anni Sessanta, l'edificio più alto d'Europa viene costruito nel prospero Nord Italia. All'altra estremità del paese, un gruppo di giovani speleologi esplora la grotta più profonda d'Europa nell'incontaminato entroterra calabrese. Si raggiunge, per la prima volta, il fondo dell’abisso del Bifurto, a 700 metri di profondità..

Locandina del film immagine tratta dal film
Così la critica:
Lorenzo Rossi (cineforum.it)

Undici anni dopo Le quattro volte Michelangelo Frammartino riparte da quegli stessi luoghi, dalla stessa terra e dalla stessa luce. Con la consueta pazienza, lo studio meticoloso e la costruzione lenta che caratterizzano il suo cinema, torna in Calabria per raccontare una storia antica. O almeno che sembra tale. Perché non ha il respiro millenario e ancestrale de Le quattro volte Il buco, ma parla di un’Italia e di una storia distanti cinquant’anni che sembrano appartenere però a un passato lontanissimo. (…)

È un film diviso in due Il buco. Non nel senso di una divisione in parti o capitoli ma in quello di una separazione fra mondi, territori, universi e luoghi dello spirito. A cominciare dall’Italia che rimette in scena: quella del boom economico dei primi anni Sessanta. Nettamente spaccata fra l’industrializzazione galoppante del nord e l’arretratezza del sud. Nelle prime scene si vedono le immagini di una trasmissione televisiva del 1961 sul grattacielo Pirelli appena costruito in cui alcuni giornalisti salgono fino alla cima utilizzando il carrello esterno dei lavavetri. È da lì che si parte, dal punto più alto dell’Italia in (ri)costruzione e dal nord del paese si scende verso l’estremo sud e poi ancora più in profondità, nelle viscere della terra. (…) Le riprese dentro la grotta, durate per più di due anni e che hanno richiesto un impegnativo addestramento a tutta la troupe, sono stupefacenti. Grazie anche alla fotografia straordinaria di Renato Berta il gioco fra buio e luce, e quindi fra il nero del sottosuolo e l’ocra delle lampade a carburo, diventa il vero tema visivo del film.

Il senso di separazione, opposizione e contraddizione fra alto e basso, vita e morte e progresso e tradizione che domina tutto il racconto diventa esplicito fino quasi al didascalismo. Eppure allo stesso tempo ammanta tutto di un fascino arcaico, come la nebbia che scende a coprire lo schermo nel finale del film o come la disciplina speleologica.


MICHELANGELO FRAMMARTINO
Milano, 1978

"Progetto installazioni interattive perché si sviluppano sotto gli occhi dello spettatore. I miei film sono un po’ la stessa cosa, la storia vera e propria la deve raccontare lo spettatore" (Frammartino). “Voglio realizzare film privi di artifici, che siano tecnici, linguistici, metaforici o drammaturgici. Non chiedo agli attori d’interpretare una parte, ma semplicemente di ripetere davanti all’obbiettivo i gesti abituali. Non sappiamo niente, o quasi, dei personaggi che prendono forma dentro di loro. La telecamera si ferma all’esteriorità. Mi sembra il modo più rispettoso di raccontare il naufragio di questo paese" (Frammartino). Nei suoi lavori Frammartino, "con forte passione, insegue il sogno di un cinema estremo, oltre il racconto in prosa" (Carabba). Studia architettura al Politecnico di Milano, dove contemporaneamente si avvicina all’audiovisivo. Nel 1992 gira il suo primo cortometraggio (“Tracce”), e nel 1995 realizza “Presenze S-Connesse”, prima di una serie di installazioni video. Il suo primo lungometraggio, “Il dono” (2003), si colloca nel difficile solco dei progetti precedenti, che rinunciano alla facilità narrativa a favore della ricerca estetica, privilegiando una collaborazione con attori non professionisti.
Foto del regista
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